Raccontino scritto in venti minuti (e non riletto, quindi non corretto), giusto per farvi capire quanto sia importante correggere i testi scritti. Di sicuro ci saranno decine di errori.
QUANDO DIO DORME
«Adesso basta! Sono
stufo di partecipare a questa pagliacciata, me ne vado e non mi vedrete mai
più.»
È buio nello studio.
Tutti i personaggi sono seduti in cerchio, si guardano l’uno con l’altro. A
quell’ora della notte non si fanno distinzioni di sorta, i protagonisti siedono
volentieri accanto alle comparse, gli eroi con gli antagonisti, i morti con i
vivi.
È stata una giornata
sfiancate quasi per tutti, il loro creatore ha superato un momento di
incertezza iniziale e si è buttato a capofitto sulla sua creatura.
Quarantadue pagine in
dodici ore di lavoro non sono uno scherzo.
È notte, ma loro non
possono addormentarsi, a meno che Dio non scriva il contrario, però possono
tirare le somme su quello che devono vivere, su quello che devono fare.
A lamentarsi è
Goffredo. Nessuno si stupisce, l’ha fatto sin dalla prima pagina.
È stato sfortunato il
povero Goffredo, la parte dell’uomo sposato di mezza età che di notte esce in
auto per andare a trans è la sua.
A rispondergli è il
commissario Sergio Mori. È lui il protagonista, l’eroe positivo senza macchia e
senza paura.
«Vedi di stare zitto
Goffredo.» Gli fa con un sorrisetto carico di sfida, calcando la voce sul suo
antiquato nome. «Sei solo un personaggio di contorno, la linea comica. Se fossi
tolto dalla storia solo i trans ci farebbero caso.» Conclude ridendo.
Nessun’altro ha
commenti da fare su questo proposito, sono tutti stanchi della boria di Mori e
dell’orgoglio ferito di Goffredo.
Solamente
quest’ultimo, rosso in viso dall’imbarazzo, mormora uno sbiascicato «Fottiti.»
Per poi allontanarsi dal gruppo.
Gli altri sanno che
tornerà, non è lui che decide, e dopotutto è un buon lavoratore.
È la signorina Crassi
a riaprire le danze, è uno degli ultimi personaggi apparsi fino a quel momento.
Neanche lei è fondamentale per lo svolgimento della storia, ha preso parte solo
a qualche riga di dialogo fino a quel momento, ma sembra molto sicura di sé.
«Mi spiegate perché tutte le ragazze
attraenti delle sue storie sono alte, bionde e con gli occhi azzurri? Cioè, un
po’ di bellezza mediterranea non poteva mettercela?» Dice guardando torva
Valentina, la protagonista femminile che, poco ma sicuro, entro un’altra
trentina di pagine finirà a letto col commissario.
La risposta acida non si fa
attendere.
«Volevi essere tu la bellona di turno
vero? Lui ti ha creata racchia, bassa e bibliotecaria. Non esattamente una
femme fatale. E poi come lo sai che le donne delle sue storie sono come le hai
descritte?»
«Proprio perché faccio la
bibliotecaria stupida oca tettona! Ho trovato i suoi vecchi libri sugli
scaffali e gli ho dato un’occhiata mentre tu e quell’ebete di Mori svolgevate
le vostre ricerche. Mai un guizzo d’ingegno, mai un finale inaspettato. Credo
proprio che sia una vergogna essere stati partoriti dalla sua immaginazione.»
«A chi hai detto stupida oca?» Fa
Valentina scagliandosi verso la Crassi. A fermarla ci pensa il suo bel
commissario.
«Lasciala stare. È già talmente
brutta di suo che è inutile peggiorare la situazione mettendole le mani
addosso.»
«Se i lettori potessero vedere come
siete realmente dubito che spenderebbero
anche solo cinque secondi del loro tempo per leggervi.»
L’assassino, il cui nome non è ancora
stato svelato si intromette e cerca di mettere pace.
«Dai, adesso calmatevi tutti. Siamo tutti qui soltanto per fare
qualche critica costruttiva, non per insultarci a vicenda.»
La situazione si attenua un poco, ma
l’uomo non si fa illusioni.
Quel romanzo era partito bene, ma sta
diventando sempre più scadente. In questo sono, più o meno, tutti d’accordo.
«Non mi piace proprio questa storia.»
Dice l’assassino strofinandosi il mento. «Non sono fatto per uccidere, ma è
ugualmente la mia natura. Dovevo nascere così,
indipendentemente da chi mi avrebbe creato. Certo, mi avesse creato uno
scrittore con un briciolo di talento in più…»
«Questa cosa non mi consola per
niente.» Gli risponde una delle prostitute uccise, si guarda la punta delle
scarpe coperte di sangue.
«Mi dispiace. Spero di non averti
fatto troppo male con quella mannaia.»
«Non pensarci, non è colpa tua. Dio,
quanto avrei preferito essere stata creata da bravo autore di storie d’amore
invece di finire in questo polpettone pulp.»
«Non dirlo a me.» Gli fa eco il padre
della protagonista. «Pensa che, per qualche secondo, il mio personaggio era
stato immaginato da Stephen King. Vi rendete conto? Stavo per recitare in un
best seller.»
«Si certo, bella cazzata.»
«Ti giuro che è la pura verità. La
mentre di King mi stava partorendo. Sono stato “scippato” proprio all’ultimo
momento da questo scribacchino da strapazzo.»
«Ma se interpreti uno spazzino emigrato
da Matera. Adesso spiegami cosa se ne faceva King di uno spazzino che viene da Matera.»
Tutte le buone intenzioni
dell’assassino non hanno buon esito; le discussioni e i dibattiti si accendono
sempre di più, le parole si fanno confuse e si sommano le une sopra le altre
rendendo ogni discorso incomprensibile. Ormai c’è chi sta passando alle mani
per esprimere i suoi concetti a suon di pugni.
A fermali è un grido furente.
Tutti si voltano, vedono Goffredo.
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