I miti e le fiabe hanno toccato e toccano tuttora ogni angolo del mondo. Gli esempi sono innumerevoli: Esopo, i fratelli Grimm, Le mille e una notte, le fiabe giapponesi e cinesi, i racconti tramandati oralmente degli indiani americani. Solo per citarne alcune.
Nelson Mandela (si, proprio QUEL Nelson Mandela) raccoglie in questo albo alcune delle più belle fiabe originarie dell'Africa.
Sono fiabe semplici ma che nella semplicità hanno la loro forza, infatti scorrono molto bene e sanno dire parecchio sulle diverse colture africane.
Non diversamente dallo stile europeo, molti dei protagonisti sono animali antropomorfi che contengono il meglio e il peggio dell'animo umano: la lepre (furba), lo sciacallo (Imbroglione), la iena (debole e opportunista), il leone (forte e, a volte generoso), il serpente che incarna sia il bene che il male. Anche l'uomo è presente in diverse di queste storie, ma spesso è solo una pedina persa in un mondo (quello naturale) più forte, saggio e potente di lui.
Oltre che parlare del libro, vorrei soffermarmi sull'importanza che la fiaba (il mito, la leggenda e così via...) ha, o meglio, dovrebbe avere nella nostra società (e non mi riferisco solo ai bambini). Spesso, queste storie possono apparire datate e quasi involontariamente ridicole ai nostri occhi e alle nostre orecchie "moderne", però hanno la rara capacità di poterci catturare e portarci in un mondo, quello dei nostri antenati, che purtroppo (o per fortuna) non esiste più. Basta aprire i nostri cuori e zittire il cervello, corrotto (o educato) dalla cosiddetta civiltà moderna.
Abbiamo molto da imparare da queste storie che parlano del nostro passato meglio di un imponente libro di storia.
Non a caso, Mandela conclude la prefazione al libro con queste parole: Il mio desiderio è che in Africa la voce del cantastorie possa non morire mai, e che tutti i bambini africani abbiano la possibilità di sperimentare la magia dei libri senza smarrire mai la capacità di arricchire la loro dimora terrena con la magia delle storie.
Questo è un desiderio che io estenderei al mondo intero, perché un popolo che dimentica le proprie storie, è come un albero senza più radici.
Un albero destinato ad avvizzire e morire.
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