Cerca nel blog

sabato 29 dicembre 2012

TRAINSPOTTING - IRVINE WELSH

Edito in Italia da Guanda nel 1996

E' strano a pensarci; Trainspotting di Danny Boyle è uno dei miei film preferiti, adoro leggere, posseggo l'omonimo libro scritto da Welsh ormai da parecchio, eppure non mi è mai passato per l'anticamera del cervello di leggerlo.

Finalmente ho rimediato e, lasciatemelo dire, sono contento di averlo fatto. Che dire di quest'opera? Prima di tutto conferma le mie teorie sulla (magnifica) insanità mentale degli autori scozzesi (leggere la recensione de "La fabbrica delle vespe" per chiarimenti), inoltre non aspettavo di certo di trovarmi davanti a un romanzo del genere; così vicino eppure così lontano dalla pellicola che è diventata uno dei più grandi cult degli anni '90.
Ho scritto romanzo? Scusate, mi sono sbagliato; Traispotting è più una raccolta di racconti sconnessi tra loro e riuniti insieme soltanto da un flebilissimo filo narrativo. In questo libro non esiste linearità, l'autore decide saggiamente di non spiattellarci i fatti e le psicologie dei personaggi subito, lo fa invece in piccole dose facendo crescere dentro di noi la voglia di saperne di più. Bisognerà leggere tutti e sette i macro-capitoli (ognuno dei quali diviso in diversi capitoli/racconti) per farsi finalmente un quadro davvero generale della vicenda. E' stupefacente accorgersi che, nonostante quasi tutti i racconti siano agevolmente leggibili singolarmente in quanto scollegati, non ci si sentirà appagati fino all'ultima storia.

Ogni capitolo/racconto è narrato da un personaggio differente (in particolare Rent, Spud, Begbie e Sick Boy. Ma anche da altri mai apparsi nel film) con uno stile narrativo personalizzato: dopo qualche momento di incertezza impareremo a riconoscere subito i buffi intercalari di Spud ("non per dire" "capito gattone"), il linguaggio logorroico e sboccato del manesco Begbie e così via. Raramente c'è invece una voce narrante in terza persona.
Nelle pagine del libro viene descritta la vita ai margini di alcuni giovani di Edimburgo, molti di loro sono eroinomani e praticamente tutti vivono ai limiti della legalità. Qualcuno morirà, altri riusciranno a uscirne solo per rimanere invischiati in altri orrori, forse peggiori della più terribile droga (il capitolo "Sangue marcio" vi farà rabbrividire. Credo abbia fatto rabbrividire persino l'autore, che ha optato per un finale relativamente conciliante). Welsh sembra quasi che si diverta a infrangere i tabù della cultura occidentale moderna, spingendo sull'acceleratore quasi fino all'irrealtà. Ma, come spesso possiamo leggere sui quotidiani, niente è troppo per questo mondo marcio e malato. Si va quindi dalla morte di bambini, all'uccisione di poveri cani, al sesso con giovani vedove incinte e con minorenni vogliose, allo stupro di una povera ragazza da parte di un sieropositivo e le sue tremende conseguenze (tra le più belle e terribili storie che abbia mai letto in vita mia), agli effetti dell'eroina sul corpo umano. A volte la scrittura (sempre ottima) diventa più distesa e ironica, abbandonando un po' gli altissimi livelli di cinismo che caratterizzano il libro.
L'unica nota lievemente stonata riguarda il finale. Mi ha convinto molto di più quello cinematografico, ma credo che questo si debba imputare più alla bravura del regista Boyle che a una mancanza dello scrittore Welsh.
Credo l'abbiate capito: se siete persone impressionabili, fareste meglio a leggere qualcos'altro. Non lo dico per dire, alcuni passaggi di quest' opera narrativa  hanno impressionato anche me che non sono certo di primo pelo riguardo a letture "al limite". Pensate che non è riuscito a vincere il Premio Booker (una sorta di premio Strega per i paesi del Commonwhealt) dove era favoritissimo, per: "aver offeso la sensibilità di due dei giudici".
Se conosco il personaggio, Welsh si sarà fatto una sonora risata sulla sensibilità di quelle persone ed è giusto che sia così. Quest'uomo ha una grandissima dose di talento ed è giusto che la faccia conoscere al pubblico senza preoccuparsi di offendere nessuno. (Un po' come Tarantino, accusato da molti di essere razzista perché fa dire spesso ai personaggi dei suoi film la parola negro). La scrittura, come tutte le altre arti, ha il diritto, anzi, il dovere di essere libera da ogni vincolo e paletto. Poi sta al lettore trarre le sue conclusioni.

Io dalla mia consiglio alla grande questo libro, pur capendo che non è un lavoro adatto a tutti. Però non credo che gli amanti dei libri alla Moccia (quelli sì, davvero squallidi e diseducativi) possano incappare in quest'opera.

Dallo stesso autore: I segreti erotici dei grandi chefSkagboys

ALTRI LIBRI RECENSITI

Nessun commento:

Posta un commento